Fare posto al vuoto (I parte)

Padroneggiare la mente pensante

Ad un certo punto del percorso di crescita interiore e di consapevolezza diventa necessario, per proseguire, sperimentare il vuoto e riuscire a restarci dentro. L’essenza dimora nel vuoto, e se vogliamo fare esperienza dell’essenza dobbiamo andare nel luogo in cui possiamo incontrarla, lì dove tutto tace o quasi. Sviluppare la capacità di fare esperienza del vuoto diventa quindi fondamentale.

Una delle vie maestre per questo è la meditazione, ma ci sono anche la contemplazione e le pratiche di presenza. 

A differenza di quanto spesso erroneamente si crede non è necessario eliminare la realtà o la nostra mente per contattare l’essenza, perché l’essenza dimora nella realtà stessa. Così possiamo trovare dentro di noi il vuoto anche quando ci troviamo immers* nel pieno dei nostri pensieri o degli stimoli esterni, come vedremo. 

La maggior parte dei nostri “problemi” infatti sembra derivare da una mente che produce incessantemente pensieri che ci fanno soffrire, senza tregua. Ma il problema, se c’è un problema, non è la nostra mente, semmai è l’uso che ne facciamo. Il fatto che non padroneggiamo per nulla il nostro mondo interiore ci porta a subire i nostri pensieri come se fossero automatici e a vivere nell’illusione continua che non possiamo farci niente. Riprendere le redini della nostra mente pensante è il primo passo verso la padronanza dell’esperienza interiore e del benessere integrale, cioè il benessere su tutti i livelli: corpo, energia, emozioni, mente, spirito.

Forse leggendo ti stai chiedendo: ma come posso fare posto al vuoto nella mia vita se tutto intorno e dentro produce caos, rumore e interferenza? Se ti stai facendo queste domande sei nel posto giusto.

In effetti in questo non ci aiuta la cultura a cui apparteniamo e nemmeno la società in cui viviamo che continuamente ci richiede di muoverci e pensare ad un ritmo accelerato, ad una grande velocità, sempre più vicina a quella della realtà virtuale nella quale peraltro siamo sempre più immers*.

Pensa che se fossi nat* in Tahilandia probabilmente ti avrebbero introdott* alla meditazione dalla più tenera età, l’avresti praticata anche a scuola, se vivessi in certe parti del mondo vedere intorno a te persone che meditano sarebbe una cosa del tutto normale. Ma se sei nat* in un paese occidentale non lasciare che questo diventi un pretesto che ti impedisce anche solo di  provarci! 

La buona notizia è che la capacità di accedere a stati meditativi e transpersonali e ai benefici connessi sembra essere tra le capacità innate negli esseri umani.

Questo significa che, in assenza di gravi patologie cognitive specifiche, tutti possono riuscirci e che per tutta una parte della tua infanzia lo hai sicuramente fatto in modo spontaneo. E non solo, ancora oggi, nonostante la “mente che risolve problemi” abbia preso il sopravvento, tutti facciamo esperienza di momenti di “assenza” che gli ipnologi chiamano entrare in trance, e ci dicono che in condizioni naturali accade per poco tempo all’incirca ogni 45-60 minuti. Hai presente quando stai camminando o guidando e stacchi la testa, senza accorgertene ti trovi in un punto del percorso e non sai come ci sei arrivata/o? Ma se in quel lasso di tempo ti si presenta un ostacolo davanti la tua capacità di reazione è elevatissima. Quindi in realtà sei tutt’altro che assente!

Chiaramente se per molti anni della tua vita hai usato poco e inconsapevolmente questa capacità sicuramente si sarà un po’ arrugginita e bisognerà fare qualcosa per rimetterla efficacemente in funzione e soprattutto per farlo accadere quando vuoi tu. 

Probabilmente per una certa parte della tua vita avrai pensato che meditare coincidesse con pensare: “ci sto meditando su”, “medita su quello che ti ho detto”, e così via. Probabilmente in altre epoche era proprio così, pensare e meditare erano molto vicini, infatti il nostro pensare era più libero da condizionamenti esterni, non eravamo continuamente bombardati dalle informazioni esterne e dalle opinioni di qualcun’altro. Fino a qualche secolo fa anche in Occidente il pensiero era più vicino all’intuizione e le persone avevano più occasioni di immergersi nel silenzio.

Ma oggi è tutto diverso. La maggior parte di noi, dal mattino appena sveglia alla sera prima di dormire, porta continuamente la propria attenzione ad uno schermo, con risultati peraltro ancora non del tutto conosciuti in termini di aumento dello stress, dei disturbi del sonno, della vista, della postura, dell’umore, ecc. Ma non solo, credi che questo non condizioni il tuo modo di pensare, le idee che hai, le tue opinioni? Ti sei mai chiest* quanti dei tuoi pensieri sono originali e quanti invece sono indotti dall’esterno? Dove sta il confine tra quello che penso io e quello che qualcun’altro ha pensato prima di me e che più o meno consapevolmente ho fatto mio?

Insomma in questo scenario quotidiano si può capire che ciascuno di noi vive continuamente invaso e immerso in un grande pieno di informazioni, emozioni, pensieri.

Si potrebbe dire che rispetto al passato le cose si sono capovolte: i momenti in cui la nostra mente riceve informazioni sono molti più di quelli in cui si dedica all’attività di creare pensieri nuovi o aprirsi all’intuizione. Proprio perché i processi intuitivi cominciano a partire da uno spazio di vuoto.

Allora che dire, siamo messi così male?

In realtà no. Primo perché, come accennato poco fa, si tratta solo di risvegliare una capacità innata, secondo perché proprio per questo eccesso di pieno il nostro bisogno di vuoto in realtà è immenso, e anche quando non riusciamo a rendercene conto, quando non ci ricordiamo più quali sono gli infiniti vantaggi che porta, una parte di noi, molto profonda, lo cerca voracemente.

Ma questo vuoto che ci manca è spesso proprio quello da cui fuggiamo maggiormente nella nostra quotidianità perché, per l’idea errata che ce ne siamo fatti, ci spaventa.

Questo accade principalmente per tre fraintendimenti di base: pensiamo che il vuoto sia assenza, mancanza, pensiamo che per contattare il vuoto la mente pensante debba essere eliminata e crediamo che se smettessimo il problem solving incessante e lasciassimo andare il controllo la realtà ci sfuggirebbe di mano. In realtà non ci accorgiamo del fatto che essere continuamente portati via dal momento che stiamo vivendo da una mente piena è proprio il segnale evidente che non stiamo padroneggiando un bel niente!  

Ma noi possiamo riprendere le redini a partire dall’osservare i nostri pensieri, osservarci pensare, smettendo di lasciarli andare in automatico.

Non si tratta dunque di fermare la mente, ma di abbassarne gradualmente il volume, si tratta poco alla volta di fare spazio e dedicare tempo, nella propria vita, al silenzio.

E tu quanto posto fai al silenzio nella tua vita? Quanto i pensieri ti portano via? Hai qualche strategia per riprendere le redini?

Se ti va ti invito a rispondere a queste domande o a condividere tue riflessioni su questo tema nei commenti.

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Grazie! 🙂

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